giovedì 25 febbraio 2016

Lectern - Fratricidal Concelebration

Artista: Lectern
Disco: Fratricidal Concelebration
Genere: Death 
Durata: 30'
Tracce: 9
Anno: 2015 


Etichetta: Sliptrick records



Voto: 8.5/9


Recensionea cura di: Aleister Hunt


Traccia 1. millisecondo 3. “Siamo il fottutissimo Male e siamo qui per aprirvi il cervello”. Growl impressionante, chitarre tecniche ma incisive e violentissime. Batterie e bassi prepotenti, e precisi come non mai. Dissonanze schifosamente belle.
Questo lavoro dei Lectern, ha bisogno di essere ascoltato più volte, per trovare un difetto. Cosa che, difficilmente riuscirete a fare se siete amanti del genere.
Coi suoi passaggi thrashy e quei pochi stacchi tendenti al melodico, permessi dal mood del disco e dal genere, “Fratricidal Concelebration” è un’opera seducente, che mescola violenza e bellezza, in un continuo balletto fra la vecchia scuola del Death anni ‘90 e sonorità modernissime. Il disco è quasi tutto tiratissimo, tanto che i nove brani, si esauriscono in soli trenta minuti - che sembrano durare molto meno - lasciando l’ascoltatore con la voglia di averne ancora e ancora. Azzeccatissima anche la distribuzione degli interludi, delle parti parlate e dei cori, che rende particolare ed interessante tutto l’insieme.

Il disco apre con l’omonima “Fratricidal Concelebration”; scelta a mio parere azzeccatissima, dal momento che denota subito le particolarità sopra citate, guidando l’ascoltatore fino alla seconda traccia, che sembra esserne la naturale prosecuzione: “Labial of Inveigher”.
La terza traccia apre con un riff thrash. Tagliente ma non troppo, accompagnato da una batteria devastante. Queste due particolarità, spiccano per buona parte del brano, che si conclude inaspettatamente con una parte parlata.
Le tracce a seguire, racchiudono una serie di altre piccole chicche, tutte da scoprire e non subito udibili a primo acchitto, oltre ad altre che è bene non svelare, per non rovinare la bella sorpresa che rappresentano.

In definitiva, questo disco è una sveltina col demonio. Breve, intenso, distruttivo.
Ne vorresti di più ma il caro vecchio Lucy ha troppi cristiani da scannare, per stare li a fotterti!



Traccia più interessante: titolo della traccia più interessante

Sample track - video della sample track (se non c'è eliminare)



Tracklist
01 - Fratricidal Concelebration
02 - Labial of Inveigher
03 -Genuflect for baptismal transubstansiation
04 - Falsifier bribed in desanctification
05 - Pulpit of tormentation06 - Lordless07 - Deign of ceremonier
08 - Golgothanean
09 - Libidinal tabernacles

lunedì 22 febbraio 2016

Lady Reaper - "Lady Reaper" (2015)



Artista: Lady Reaper
Disco: Lady Reaper
Genere: Heavy metal/Hard Rock
Durata: 29'
Tracce: 7
Anno: 2015 

Etichetta: Sliptrick Records
Voto: 7


Recensionea cura di: Flavio Adducci


 
In questo generale e sempre più vitale ritorno alla vecchia scuola del Sacro Metallo a cui stiamo assistendo già da qualche anno, ci stiamo facendo rispettare anche noi romani. In tal caso, parlando di heavy metal in senso stretto, abbiamo vecchi leoni come i Messerschmitt e i Raff. Ma abbiamo anche giovani leoni come i Lady Reaper che, nati nel 2011 e stabilizzatisi nel Maggio 2012, a Marzo dell’anno scorso hanno fatto uscire per conto della statunitense Sliptrick Records l’omonimo album d’esordio dopo aver rilasciato nel 2013 l’autoprodotto concept-EP  “Northern Trilogy”.
Passando subito all’azione, i Lady Reaper hanno confezionato in quest’album 7 pezzi per soli 29 minuti tutto arrosto e niente fumo, i quali mostrano un gruppo molto affiatato. Ciò lo si sente per esempio dall’ottima interazione fra i due chitarristi Stefano Jekyll e Federico Red (a dir la verità nell'album ci ha suonato Daniele Petretto, poi sostituito appunto da Federico nell'Ottobre del 2014), che si aiutano a vicenda dando adito anche a delle brillanti parti soliste pure belle lunghe e curate. Ma lo si sente molto pure dal lavoro dietro le pelli di Berardo Bear, artefice di una prestazione dinamica e robusta capace di enfatizzare l’intero discorso magari tramite dei rapidissimi interventi in solitaria. E tanto di cappello pure a Simone Iron che, anche se lo preferisco di gran lunga nella sua versione più rauca e aggressiva, sa talvolta tirare fuori delle buone linee più melodiche.

Ma, più di preciso, che cacchio di musica fanno i Lady Reaper? Beh, i nostri hanno dato vita a un disco vario e ricco di spunti andando così dalla veloce cavalcata di “Dr. Chainsaw” all’heavy metal dai toni un po’ epicheggianti di “Catch the Moon” (di sicuro l’episodio più melodico del lotto anche perché parte a mo’ di ballata acustica), dall’hair metal dell’iniziale “Spit Out from Hell” (che contiene pure una breve accelerazione veloce introducendo così un po’ “Dr. Chainsaw”) al durissimo mid-tempo dal taglio più moderno e con finale rallentamento molto pesante di “When Jekyll Becomes Hyde” (di cui è stato fatto un bel lyric video curato dal videomaker Simone Serafini), pezzo che chiude il disco. Ma, signore e signori, il meglio deve ancora arrivare!

Eh sì, perché i Lady Reaper convincono pienamente nei pezzi più rockeggianti ravvisabili in un trittico veramente fantastico, che segue saggiamente i 6 minuti e mezzo di “Catch the Moon”. Sto parlando dell’autocelebrativa “Lady Reaper”, tutta goliardica con tanto di fulmineo assolo in solitaria di chitarra (che fa molto NWOBHM) durante i momenti finali; di “Ace of Hearts”, che sorprende l’ascoltatore con dei toni ancor più scanzonati non solo perché qui Gabriele Gimi “slappa” il suo basso che è una meraviglia mentre Berardo usa a tratti persino il mai tanto decantato campanaccio ma anche per una contagiosa e viscerale parte solista di derivazione blues; e dell’ancor più bluesy “Tomahawk”, dagli azzeccatissimi ritmi tribali di batteria. Per farla breve, è proprio qui che i Lady Reaper si scatenano del tutto dando fondo alle proprie potenzialità per creare dei pezzi spensierati completi pure di ritornelli da cantare finalmente tutti in coro.

Ma adesso basta con i pregi e cominciamo a elencare i difetti! I quali si sintetizzano in una “Dr. Chainsaw” non totalmente efficace perchè, più nello specifico, forse sarebbe stato meglio accorciare la strofa prima del ritornello così da rendere il tutto molto più fluido; e nella durata troppo breve del disco, anche perché esso convince appieno a partire dal 4° pezzo, ragion per cui non mi sarebbero dispiaciuti uno-due brani in più.

Ed eccoci arrivati alle conclusioni. I Lady Reaper hanno confezionato insomma un album sì molto radicato nell’immortale heavy metal degli anni ’80 ma che si segnala soprattutto per un trittico di canzoni da cui i nostri potrebbero ripartire per le future produzioni lavorando quindi maggiormente sulle proprie influenze, anche settantiane, di stampo più hard rock e blues. Ma, per farvi capire che i Lady Reaper si fanno veramente il culo per la loro musica non lasciando nulla al caso, ora non solo vi dico che dal vivo i culi li spaccano veramente ma il 19 Marzo suoneranno all’Exenzia aprendo nientepopodimeno che per lo storico e prolifico gruppo NWOBHM Demon! Dai, che cazzo state aspettando? Andate a vederli, bestie!



Traccia più interessante: "Ace of Hearts"

Sample track: Lady Reaper - "When Jekyll Becomes Hyde"
 
Tracklist
01 - Spit Out from Hell
02 - Dr. Chainsaw
03 - Catch the Moon
04 - Lady Reaper
05 - Ace of Hearts
06 - Tomahawk
07 - When Jekyll Becomes Hyde

Kyrgar - From the northern Lands

Artista: Krygar
Disco: From the lands of North
Genere: genere
Durata: 27'
Tracce: 6
Anno: 2016



Voto: 6.5




Recensionea cura di:Aleister Hunt


Come promesso dal titolo, “From the lands of north” apre in pieno stile Viking. Buono in fatto di esecuzione, potenza e tecnica, non brilla particolarmente in fatto di originalità, per quanto questa pecca sia in maggior parte ascrivibile al genere. Ciò nonostante, la demo risulta abbastanza piacevole, soprattutto per gli amanti degli Amon Amarth, dei quali è stata inserita una cover di “The pursuit of the Vikings” - forse un po’ troppo simile all’originale- e dei quali sono molto evidenti le influenze sul lavoro di questi ragazzi.
Più in generale, questa demo si presenta con un suono davvero potente e profondo, comprendendo anche alcune dissonanze nell’accordatura delle chitarre, che sembra essere voluta ed a mio parere azzeccatissima.
L’esecuzione, è impeccabile, sia dal punto di vista strumentale che da quello vocale, salvo alcune leggerissime imprecisioni, rintracciabili solo dai puristi della tecnica.
Interessanti  anche alcune idee presentate sui cambi ritmici, anche se da sviluppare meglio in fatto di progressione. Molto più interessanti e ben congegnati - per quanto sparuti e brevi- gli stacchi melodici.
Sicuramente, in alcuni momenti, questo è un lavoro che spinge l’ascoltatore all’head banging selvaggio e sconsiderato; caratteristica molto importante - seppur non sufficiente- per la buona riuscita di un disco metal.
In sostanza, i Krygar sono una band che con la giusta dose di impegno e fortuna, potrebbe arrivare a fare grandi cose nel panorama squisitamente viking. Sussistono evidenti premesse tecniche anche per eventuali sconfinamenti dalle restrizioni di genere, che sicuramente gioverebbero alla band, ampliando lo spettro delle sue possibilità e la fruibilità da parte di un pubblico più vasto.



Traccia più interessante: The cry of the Banshee

Sample track - Guardian of Cemetery


Tracklist
01 - Bloody flag
02 - Blood
03 - Guardian of cemetery
04 - Fight for your life
05 - Cry of the Banshee
06 - Bonus track

Insanità, genio e dissonanze, ILIOS

Artista: Ilios
Disco: Demo 2015
Genere: heavy/progressive/punk
Durata: 17'
Tracce: 3
Anno: 2015

Voto: 6.66


Recensione a cura di: Leonardo Schrikker

Sono da poco passate le 3, ed è quel preciso istante nel corso della notte nel quale non sai deciderti se è il caso di metterti a dormire per svegliarti poco dopo oppure rimanere sveglio ed aspettare che apra il bar per andare direttamente a fare colazione...esiste forse momento migliore per alzare la testa dal libro e buttare giù due parole su un disco? Dopo aver messo su i brani di questa demo, averli ascoltati più volte nell'ultimo paio di giorni, ed essere riuscito a decidere che idea farmi su questo disco sento di poter dire di avere tra le mani un lavoro complesso, viscerale, rabbiosamente cacofonico in alcuni punti ed introspettivamente melodico in altri. La demo è composta da tre brani, per un totale di 17 minuti e rotti, che però sembra durare qualcosina di più, una delle concause di questa soggettiva dilatazione temporale è il cantante, che ricorda moltissimo Wattie Buchan (The Exploited), che urla per praticamente tutta la durata della demo, anche in parti che richiederebbero probabilmente una tecnica vocale più fina, coprendo in questo modo anche le raffinatezze della parte strumentale di cui questo lavoro è assolutamente ben dotato. In alcuni passaggi tuttavia, vi sono alcuni sprazzi di banalità, che però possono essere facilmente modificati od aggiustati. Anche la qualità della registrazione lascia un po' a desiderare, insomma, è una demo e come tale va presa, lo reputo comunque un lavoro discreto, potenzialmente ottimo, c'è molto che potrebbe essere fatto meglio, anche solo di poco, e rimango stupito davanti a cosa questi pezzi potrebbero diventare, anche considerando la complessità delle loro strutture, che li rendono difficilmente classificabili sotto un unico genere, mi azzarderei a definirli Heavy-progressive-punk.
Primo pezzo: "Madenss", pura follia, parte come un pugno in faccia e la voce sostenuta, gridata, del cantante da la carica ad un pezzo che comincia con sonorità sporcate (anche dalla registrazione, un pochino, forse in modo voluto) che scaturisce poi in un interludio molto "Joy Division" che dopo essersi alternato al ritornello porta ad un assolo e poi ad un giro sinistramente cantilenante, poco digeribile, seguito da un arpeggio, che porta il pezzo poi a concludersi con un possente riff ed un urlo che personalmente trovo azzeccatissimo.
Il secondo pezzo, "My last ride" si presenta con un arpeggio al quale in secondo luogo s'intreccia una seconda chitarra con un crescendo che termina però in una dissonanza che, a mio modesto avviso, è come una doccia fredda per chi ascolta, rovina un pochino l'atmosfera pazientemente creatasi fino a quel momento (un vero peccato), subito dopo vi è il richiamo della celeberrima marcia funebre di Chopin, dopo il quale, il pezzo si apre con un interludio molto Viking e la voce del cantante irrompe prepotentemente infrangendosi contro i vostri timpani, strappandovi nettamente da ciò che stavate ascoltando fino a pochi secondi prima. I passaggi successivi si lasciano ascoltare volentieri, anche qui però il cantato, quando presente, risulta molto troppo aggressivo rispetto alla base, nonostante essa sia costituita da una solida trama di chitarre, fino ad arrivare ad un ritornello orecchiabile (che ha come lato positivo quello di essere una delle rare parti dove il cantante non urla, ma emerge, penalizzandolo, la scarsa qualità della registrazione). Segue poi un assolo, che però, specie nella seconda parte risulta dissonante, ricorda molto quello di "Some Kinda Hate" dei Misfits, solo un po' più lungo, ritornello finale e la canzone si porta faticosamente a varcare la soglia dei sette minuti con un arpeggio ed una conclusione armonizzata tra le due chitarre. Personalmente penso che questo pezzo, in seguito ad alcuni semplice accorgimenti, potrebbe diventare un vero capolavoro.
Terzo brano: "Call from the Grave", un rullante militaresco segna l'inizio di questa canzone, accompagnato da un crescendo di tastiere, che portano poi allo sfociare del tutto in una serie di riff abbastanza duri, alternati ad assonanti arpeggi sui quali il cantante si lascia occasionalmente sedurre da un modesto grawl. Segue poi un pezzo di basso slappato, letteralmente (complice anche qui la qualità della registrazione) coperto poi da un riff di chitarra e dalla voce, e la canzone si conclude poco prima del quinto minuto, senza infamia e senza lode.
Credo di aver capito che questi tre brani siano legati l’uno all’altro da una storia unica; raccontano infatti nel primo (Madness) la storia di un tizio che, in preda alla follia, al non riconoscere più la sua realtà, commette un omicidio, per il quale viene quindi condannato alla pena capitale (Last Ride, e qui infatti, c'è il richiamo al Requiem), e giusto poco prima di morire, lui si rende conto di tutto quanto, come raccontato in (call from the grave), trovo che sia una cosa davvero geniale!
Consiglierei a dei miei amici questa demo? In realtà forse si, ma soltanto ad una limitata e ristretta cerchia di persone che sarebbero in grado di apprezzarne le qualità.


Traccia più interessante: My Last Ride

Tracklist
01 - Madness
02 - My Last Ride
03 - Call from the Grave

giovedì 18 febbraio 2016

Sailing to Nowhere - To the unknown - 7/7.5

Artista: Sailing to nowhere
Disco: To the unknown
Genere: Power Metal
Durata: 44'
Tracce: 9
Anno: 2016

Voto: 7 - 7.5 Recensionea cura di: Causio - Hunt

Non è stato inciso per essere catalogato come il solito disco power, “To the unknown”, album d’esordio dei Sailing to Nowhere, che a due anni dalla formazione della band, si trovano in mano un disco ben lavorato e mai anonimo. E’ un album che trasuda passione, fatica, divertimento e tanto lavoro. Un disco versatile, che offre la possibilità di un ascolto attento ma che si lascia usare benissimo anche a scopo ricreativo. Diretto e semplice, nel suo insieme “To the unknown” è un lavoro ambizioso ma non pretenzioso. Pur rispettando i canoni del power metal di primo stampo, riesce agevolmente a schivarne le restrizioni, senza uscire troppo dal seminato. Riff potenti e tirati, si intrecciano ad arpeggi armoniosi e melodici, a creare un’atmosfera piacevole e lineare. Forse, in alcuni momenti, questa peculiarità, potrà essere interpretata come un neo, alle orecchie dei patiti del power e dell’epic, abituati a sonorità in stile Manowar / Gamma Ray od alle velocità estreme dei più moderni Dragonforce.Ciò nonostante, è un disco che non delude - soprattutto per essere un lavoro d’esordio - in fatto di composizione, arrangiamento ed equilibrio, sia dei pezzi che degli esecutori e che lascia intendere un’ampia crescita per il futuro, sotto ogni punto di vista. la batteria è corposa e precisa, senza per questo sovrastare il lavoro del basso, dalle linee pulite ed ordinate ma mai anonime. Particolarmente gradevoli alcuni cambi ritmici, che denotano una contaminazione da altri generi, almeno nella sessione ritmica della band.
La chitarra e le tastiere si sposano alla perfezione con gli altri strumenti, alternando ai cavalcati classici del genere, momenti melodici e tranquilli o tecnici e veloci, mantenendo comunque una certa spaziosità, che favorisce notevolmente l’ascolto. Molto interessante la dicotomia vocale, fra i due cantanti, che fanno della differenza di genere un punto di forza, senza mai sovrastarsi o competere fra loro.

Ad aprire il disco, in pieno stile Power metal sinfonico “No Dreams In My Night”, scandita dal doppio pedale, intelligente e preciso di Giovanni Noè e dalla tastiera di Valentina de Iuliis. Assieme a Sailing To Nowhere - omonima della band - e You Won’t Dare, fra i pezzi “potenti” e diretti del disco. Gli altri brani vedono parti più melodiche, che spesso sfociano in ritornelli più duri. Forse, l’unica pecca in chiave compositiva, è la presenza di troppe ballad, quali ad esempio Sweet Rain e Lovers On Planet Earth, per quanto siano comunque pezzi di ottima fattura.  Audace e pregevole la cover di Left Outside Alone (Anastasia), che chiude l’L.P. e nella quale la voce di Veronica Bultrini e la tastiera di Valentina de Iuliis possono esprimersi più agevolmente.
Questo lavoro dei Sailing to nowhere, vanta collaborazioni di spessore nella scena Metal di Roma e non, come quella di Leonardo Porcheddu, alle chitarre su “sweet rain”e David Folchitto, alla batteria su “Strange dimension”, con alla voce principale Terence Holler (Eldritch). Particolarmente piacevole, in questo brano il riff di chitarra di Andrea Lanzillo, semplice e quasi inaspettato, nel gioco di risposte con la voce. Meno convincente,invece la performance di Holler. “To the unknown”, come promesso dal titolo, trasmette un senso di temerarietà ed allo stesso tempo incertezza. Questo concetto è ripreso molto concretamente dall’artwork - pregevole e ponderato - che rispecchia pienamente l’immagine della band: una ciurma che naviga in mari sconosciuti, si a vista ma sempre consapevole delle proprie doti e passioni, forte della certezza dello stesso legame che unisce fratelli.


Traccia più interessante: sailing to Nowhere/lovers on planet earth
Sample track - Sailing to nowhere




Tracklist
01 - No dreams in my night
02 - Big fire
03 - Fallen angel
04 - Lovers on planet earth
05 - You wan’t dare
06 - Strange dimensione
07 - Sailing to nowhere
08 - Sweet rain
09 - Left outside alone (anastasia cover) Facebook fanpage della band

lunedì 15 febbraio 2016

Recensione di Circadian Descent - Forgotten Prisoners

Artista: Forgotten Prisoners Disco: Circadian Descent Genere: Progressive Metal Durata: 78' Tracce: 9 Anno: 2016 Voto: 8.5 Potente, delicato, oscuro e complesso, senza essere complicato. Tecnico ed al tempo stesso appassionato. C’è veramente tutto quello che serve, in questo lavoro dei Forgotten Prisoners. Un disco che, nonostante la tecnica e la complessità, si lascia ascoltare ben più che volentieri, anche da chi non è un ascoltatore particolarmente patito del genere. Soprattutto in una giornata uggiosa come questa.
Ottima la scelta degli strumenti, in particolare nei suoni che, nonostante la modernità, richiamano inequivocabilmente le sonorità del progressive anni 70. Chiari ed inevitabili anche i riferimenti a band di spicco contemporanee come Dream Theater e Simphony X. Chiari ma mai scontati. Dosati sapientemente e mai stucchevoli. L’impercettibilità immediata del sintetizzatore, in alcuni momenti, ottiene il tipico effetto delle ghost notes, senza le quali, ogni traccia, per quanto valida, mancherebbe di quell’inspiegabile appeal, che questi ragazzi hanno infuso nel proprio lavoro.
Malinconico senza mai annoiare, questo concept, ci regala passaggi inaspettati e tuttavia coerenti, spaziando da spunti classici dell’heavy ad arpeggi ariosi e bui, passando attraverso il panorama prog e prog metal delle ultime quattro decadi.
La voce è a proprio agio e perfettamente in linea con il mood del disco.
Di certo, quello dei Forgotten Prisoners è un cantante che non ci si aspetterebbe di trovare in una band prog. Rompe totalmente con lo stereotipo del vocalist alla Labrie, divenuto ormai un’icona del genere.Voce graffiante e rabbiosa. Bello anche il basso, molto preciso e ben articolato. Si incastona alla perfezione nei silenzi e negli spazi, intarsiati da una chitarra che, nonostante i virtuosismi, oltre che suonare, racconta.
Interessante anche nelle parti parlate, questo disco è impreziosito dalle piccolissime imperfezioni, sparse qua e la, che sottolineano ancora una volta la veracità di questo lavoro.
Il concetto che da il nome al concept, è seguito in maniera abbastanza coerente sia dai testi che dall’umore generale della musica. Interessante la progressione con cui il lavoro si evolve, esplodendo nelle ultime quattro tracce.
Notevole anche l’artwork, con il quale si presenta il disco. La scelta di immagini e colori, sia all’interno, che all’esterno, risulta piacevole e ben congegnata, sia dal punto di vista della coerenza che da quello dell’estetica Aleister Hunt
Traccia più interessante: 07 - Ash in the Dust Sample track - The Passage

“Noumeno, Escape! Da questa realtà”


Artista: Noumeno Disco: Escape Genere: Prog/death/Rock Durata: 35' Tracce: 9 Anno: 2016 Voto: 8.5














Qualche sera fa mi arriva da parte della Redazione la notifica di condivisione di una cartella con dentro alcune tracce da ascoltare, Escape! Un titolo interessante, mi appresto a tirarle giù, e scaricate le tracce sul cellulare, faccio partire la prima.
Poi la seconda, la terza, le lascio correre mentre sistemo le mie cose, mi preparo per una serata di studio, e mentre le lascio passare, devo dire, rimango stupito, davvero belle queste canzoni! Con l'orecchio disattento però, in prima sede non mi accorgo della delicatezza di questa complessa opera...il giorno dopo, avendo un po' più di tempo, metto di nuovo su questo disco...lo ascolto più volte, e ad ogni volta che lo ascolto scopro nuovi dettagli, nuove sfumature di questo lavoro di cui, con un ascolto distratto, è difficile cogliere il significato, e che secondo me ha senso di essere ascoltato (e questa è una caratteristica notevole di un album, solo pochi ce l'hanno) dall'inizio alla fine, per apprezzarne la completezza e soprattutto la compattezza.
Per tutta la sua lunghezza, ha il raro pregio di non perdere mai di potenza, sempre di sottofondo una batteria precisissima e letale, ed un basso corposo e presente, anche talvolta (cosa che personalmente apprezzo moltissimo) slappato...le melodie e le armonizzazioni mi ricordano molto sia gli In Flames che gli Scale the Summit (qualcosa anche di Kalmah), essendo che poi si tratta di un album interamente strumentale il rischio di risultare monotono è dietro ogni riff/armonizzazione ripetuta, ma questo viene quasi sempre schivato dalla freschezza delle melodie presentate in ogni pezzo (in modo umile ed assolutamente genuino), ogni volta in maniera differente.
Reputo questo un lavoro molto valido, è molto difficile descrivere a parole ciò che si prova ad ascoltare questi brani, dal primo all'ultimo però rappresentano nell'insieme una solida esperienza metal, che consiglio vivamente a tutti di intraprendere come una sorta di viaggio, una gita fuori dalle preoccupazioni e dai problemi di tutti giorni.
Scorrendo la Tracklist, incontriamo in totale 9 brani, per una durata totale di 35 minuti, che in realtà sembrano molti di meno, per la fluidità dei pezzi creata dall'intrecciarsi dei riff e delle melodie di ciascun brano.
Si parte con Noumeno, la opener, il cui compito giustamente è quello di stupire l'ascoltatore e di accattivarlo, convincerlo insomma! Posso dire che ci riesce molto molto bene! Un pezzo quasi senza difetti, a parte forse un pochino nel finale, che stacca forse un po' più marcatamente di quanto l'inizio della canzone lasci intendere, la seconda è Unbalanced, un pezzo che nel suo decorrere evolve in modo molto positivo, per poi sfociare in un pezzo di basso slappato molto bello, che però a mio (modesto) avviso poteva essere un pochino più elaborato, però considerando il pezzo e contestualizzandolo ci sta molto molto bene, il finale di questa canzone non tarda ad arrivare, e il treno su cui stai viaggiando si schianta contro un solido muro di cemento al nono secondo del terzo minuto.
Rodeo Bing ed A Moment For Chuck sono un pochino meno accese rispetto alle due precedenti, ma nel complesso due bellissimi pezzi, per arrivare poi a GNU Entry, un pezzo che mi ha incuiriosito per la costruzione dei riff e dei giochi di chitarre, che sono molto belli associati a dei cambi di tempo che rendono questo pezzo tutt'altro che noioso.
Shores of Insanity è il quinto pezzo, quello più lungo, il cui inizio mi ricorda vagamente Heroes to us dei Kalmah, al primo minuto e mezzo poi si sblocca e sfocia in un dialogo tra strumenti di cui trovo davvero bella, oltre che l'esecuzione anche l'evoluzione, che però forse è troncata un pò troppo presto, anche se il modo in cui si conclude è molto soddisfacente.
Mr Moustache è un pezzo forse più tempestoso da un punto di vista della ritmica, un pò meno melodico, Ink ++ è l'ottavo pezzo, ci avviciniamo alla fine, l'intro di questa canzone è particolare, devo dire, molto diverso dal resto dell'album, che però presenta verso il secondo minuto un interludio in pulito, squarciato da una potente chitarra anche se forse (personalmente) è il pezzo che mi convince di meno di questo album, che si conclude con Minus One SQRT, che inizia molto più tranquillamente delle altre canzoni, verso metà del primo minuto di ascolto si apre, e verso la fine del primo minuto esordisce un assolo tagliente, che prosegue poi in un riff piuttosto spigoloso, per poi finire come era iniziato, un pezzo che segue un pò la scia del precedente, e che secondo me vede la sua luce un pochino più spenta rispetto ai precedenti. Nel complesso un bellissimo album, vivamente da consigliare agli amici appassionati del genere (e anche non, in quanto comunque è apprezzabile anche da un orecchio meno "tagliato" sul metal), chapeau!

Leonardo Schrikker Palestini


Traccia più interessante: 01 - Noumeno

Sample track - Rodeo Bing




Tracklist:
01 – Noumeno
02 – Unbalanced
03 – Rodeo Bing
04 – A Moment For Chuck
05 – GNU Entry
06 – Shores Of Insanity
07 – Mr. Moustache
08 – Ink+ +
09 – Minus One SQRT


Facebook Fanpage della Band